De Giorgi: "Con la Corea del Nord gli Usa fanno sul serio"
Il mondo con il fiato sospeso per i venti di guerra e le ripetute minacce di battaglia nucleare tra Corea del Nord e Stati Uniti. Un esperto come l' ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di stato maggiore della Marina dal 2013 al 2016, traccia con la sua esperienza il quadro della situazione.
Ammiraglio De Giorgi le prime mosse di Donald Trump sono caratterizzate da un forte attivismo militare sia nei confronti della Siria che della Corea del Nord. Si tratta di un semplice avvertimento oppure di un cambiamento radicale delle strategie americane rispetto alle precedenti amministrazioni?
"Gli Usa stanno rispondendo ai nodi che stanno venendo al pettine in due degli scacchieri più turbolenti e strategici del mondo: il Mediterraneo, in particolare il Medio Oriente, e il Pacifico. L’attacco alla base aerea siriana e la dimostrazione delle capacità distruttive della “madre di tutte le bombe” (MOAB) hanno per obiettivo strategico quello di dare un chiaro segnale alla Corea del Nord, ma non solo, che gli Stati Uniti “fanno sul serio”. Il cambio di passo, dunque, indubbiamente c’è stato, ma non credo che alteri gli obiettivi strategici della politica estera americana".
L’impiego della flotta sembra essere divenuta importante nel delineare le diverse zone di influenza". Secondo la sua autorevole esperienza, quali potrebbero essere ora i possibili sviluppi?
"Le navi e i gruppi portaerei in particolare costituiscono lo strumento militare d’elezione per la gestione delle crisi internazionali. Nel caso specifico, il semplice annuncio di inviare le portaerei nelle acque coreane ha focalizzato l’attenzione del mondo sulla Corea del Nord e sulla sua corsa all’armamento nucleare. Ha avuto anche un altro effetto immediato: incentivare una pressione maggiore da parte della Cina. L’atteggiamento Usa impone di fatto alla Cina di intervenire in modo più incisivo sulla Corea, se la Cina stessa vuole veder riconosciuto un suo ruolo egemone nella Regione e, soprattutto, fare un salto qualitativo nei rapporti con gli Stati Uniti".
La minaccia posta dalla flotta Usa alla Corea è quindi una leva di pressione in più nei confronti del dittatore coreano?
"Certo, e consente allo stesso tempo alla Cina di giocare nei suoi confronti la carta del “poliziotto buono”. Certamente anche la Russia vorrà un ritorno politico, per non interferire nello scacchiere Pacifico, almeno in questa fase. Il Mediterraneo potrebbe essere una delle aree dove trovare una prima compensazione".
La situazione di Assad è sempre meno sostenibile, viste anche le recenti vicende di attacchi chimici, ma la Russia ha stabilito nella regione delle basi navali di importanza strategica. I Russi saranno disposti a sacrificare il presidente siriano?
"Credo che i russi e in generale la comunità internazionale siano preoccupati di creare un altro “stato fallito” come la Libia del post Gheddafi. Anche l’esito della partita a tre, Usa, Corea del Nord e Cina potrebbe avere un peso a vantaggio della Russia nella gestione della crisi siriana, come premio per una sostanziale non interferenza sia sul raid Usa in Siria sia nella partita coreana. In Siria, la Russia potrebbe, quindi, vedere rafforzato il suo ruolo nel medio e lungo termine. La questione Assad, in questo scenario sarebbe in primo luogo una responsabilità russa".
Il problema è quando...
"E’ verosimile che la questione del dopo Assad si porrà solo quando la minaccia Isis nella regione sarà debellata e che si ottenga una qualche forma di cessazione del conflitto in atto. Il che potrebbe voler dire anche dividere la Siria in stati indipendenti, cosa che tutte le maggiori potenze dichiarano di non volere, ma che potrebbe alla fine essere la soluzione".
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