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Khorgos: nasce in Kazakistan, in mezzo al nulla, il più grande porto del mondo

Dieci anni fa c’era il deserto, ora, invece, nell’ambito dell’enorme progetto infrastrutturale noto ai più come “Nuova via della seta”, sorge in una delle zone più isolate e scarsamente abitate del pianeta, al confine tra il Kazakistan e la regione autonoma uigura dello Xinjiang, nella Cina nord occidentale, il più grande porto “di terra” del mondo: Khorgos, che, a soli 130 chilometri dal cosiddetto Polo dell’inaccessibilità, ossia il punto del continente euroasiatico più distante dal mare e dall’oceano in ogni sua direzione, mira a diventare uno degli snodi più importanti dell’economia mondiale. È in quella parte un tempo dimenticata di mondo che la Cina, infatti, ha deciso di costruire un gigantesco porto di scambio per il trasporto delle merci che via terra attraversano l’Asia Centrale per raggiungere poi l’Europa occidentale. La “rinascita di Khorgos” è uno dei progetti più importanti di quella che sui giornali e nei convegni viene chiamata “via della seta cinese” ma che, in verità, si traduce con “yi dai yi lu”, traducibile come “una cintura, una via, o una cintura che è una via”, com’è stata definita nello statuto del Partito Comunista, modificato nel 2017, dove si legge che il partito “deve migliorare costantemente i rapporti tra la Cina e i paesi vicini e lavorare per rafforzare l’unità e la cooperazione tra la Cina e gli altri paesi in via di sviluppo”. Il “progetto del secolo” nasce per volere di Xi Jinping, presidente del Partito Comunista Cinese, come una nuova e fondamentale fase di espansione dell’economia del Paese asiatico allo scopo di avvicinare Europa ed Asia con navi e treni, controllandone la maggior parte delle infrastrutture. In un mondo finanziariamente e culturalmente omogeneo, la “Belt and Road Initiative” (BRI) vuol dire, quindi, anche investimenti nelle ex repubbliche sovietiche, allacci ferroviari in Kenya, aeroporti in India, acquisizione di porti in Grecia nei punti strategici, allo scopo di creare un amplissimo flusso logistico che esporta e importa dall’Asia, attraversa l’Europa dell’est, arriva in Europa centrale a Nord e nel Maghreb a Sud, passando per Medioriente, Balcani e Africa del Nord.

Khorgos, con la sua posizione a metà tra Russia, Cina e Europa orientale, si trova al centro di questa rete infrastrutturale, che risulta essere, quindi, un crocevia naturale tra est e ovest, nord e sud. E così quell’ex area desertica di circa 600 ettari è ora un gigantesco hub di smistamento delle merci via terra nonché una zona economica speciale (esente da dazi doganali e non soggetta all’imposizione dell’IVA, che presenta, inoltre, condizioni privilegiate applicate per le merci esportate e prodotte dentro l’area), che è stata soprannominata la “nuova Dubai”. Attualmente ogni mese passano dalla Porta di Khorgos circa 65 treni, che trasportano qualcosa come 6.200 container carichi di merci. Entro il 2020 il progetto prevede che il porto di Khorgos arrivi a gestire 500 mila container all’anno. Il vantaggio dei treni merci per i cinesi sta nella velocità, ed ovviamente nei costi che sono molto più bassi rispetto a quelli aerei. Un vantaggio che si presenta sia per produttori di beni altamente tecnologici, come i computer o gli smartphone, che devono essere immessi sul mercato il prima possibile, sia per i prodotti freschi che dall’Europa vengono spediti in Cina. Finora la maggior parte dei prodotti di fabbricazione cinese che attraversano Khorgos non sono ancora stati destinati all’Europa, l’obiettivo finale della Cina resta, però, proprio il grande mercato europeo, che a lungo andare dovrebbe generare un traffico sufficiente per giustificare gli investimenti sul porto di terra di Khorgos.

Il nuovo impero cinese, così diverso dal 1966, per mantenere la sua egemonia deve necessariamente iniziare ad aumentare la propria influenza con il potere degli investimenti e dei rapporti industriali e commerciali. Se nel Dopoguerra era un Piano Marshall, se prima bisognava aiutare gli Stati da cui in cambio ottenere controllo politico e culturale, oggi, a quasi ottant’anni dall’ultima guerra fatta in Occidente, si tratta di creare, nel corso dei prossimi decenni, una cintura logistica. La Via della Seta ha già coinvolto formalmente 71 Paesi, soprattutto in Asia e in Oceania, e sotto il suo marchio la Cina ha già impegnato 210 miliardi di dollari in infrastrutture e altri interventi all’estero. Al momento le imprese cinesi stanno costruendo, infatti, o investendo in nuove autostrade e centrali elettriche a carbone in Pakistan, nei porti dello Sri Lanka, in gasdotti e oleodotti in Asia centrale, hanno costruito una città industriale in Oman e avviato un progetto ferroviario dal costo di 6 miliardi di dollari in Laos, senza dimenticare i tanti progetti avviati in Africa dove la Cina sta praticamente costruendo tutto e concedendo prestiti facilitati, linee di credito a tasso zero, fondi speciali, sgravi fiscali e progetti infrastrutturali. Un “prestito politico”, come viene definito dai docenti che analizzano il fenomeno; una futura “trappola del debito” come viene tradotto da molti altri. A gennaio del 2016 la Cina ha poi “comprato” il porto del Pireo in Grecia che, ad oggi, è al 67 per cento di proprietà di Cosco Shipping, conglomerato di compagnie marittime e società navalmeccaniche da 130 mila dipendenti direttamente controllato dal governo di Pechino. Apparentemente un unicum in Europa, inconcepibile in Italia, dove i porti sono gestiti da enti pubblici non economici (ma dove comunque la Cina ha investito massicciamente attraverso le società che gestiscono i porti) e anche lontano dalla governance portuale anseatica, dove i porti sono società per azioni in cui partecipano lo Stato o il comune. Il Pireo è oggi la porta di accesso in Europa per le navi provenienti da Hong Kong e Shanghai e il punto di sbocco delle merci provenienti dall’entroterra, magari da migliaia di chilometri: da Khorgos, per esempio.

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi - Nasce in Kazakistan il piu' grande porto del mondo