La Cina del "Zhenhua Leaks"
Nelle ultime settimane è esploso il caso “Zhenhua Leaks” a partire dall’analisi di un database cinese dal quale sono emersi dati inquietanti pubblicati in un’inchiesta de «Il Foglio». Per la testata italiana l’analisi del database è stata condotta dalla giornalista Giulia Pompili, in collaborazione con altre testate internazionali quali il «Sunday Time», l’«Indian Express», il «Telegraph», il «Global Mail» e l’«Australian Financial Review» (proprio dal leak di Chris Balding, accademico americato che ha girato le sue scoperte a un’azienda australiana che si occupa di cyber security, è uscita fuori l’intera vicenda).
Il database in questione appartiene alla società privata Zhenhua Data, a Shenzen nella così detta Silicon Valley cinese, che da anni gestisce un archivio nel quale sono stoccate informazioni dettagliate su centinaia di migliaia di cittadini stranieri. Nella parte in cui appaiono informazioni inerenti a cittadini italiani sono presenti, per adesso, più di quattromila e cinquecento nomi tra politici, attori, criminali, prelati e personaggi pubblici in generale.
I dati in questione, inoltre, non riguardano soltanto i singoli, ma comprendono anche svariati dettagli sulla vita privata degli schedati coinvolgendo così anche famigliari e persone terze. Una sorta di “forziere di informazioni” utili al governo cinese per poter esercitare in Italia la propria influenza sia politicamente che economicamente, in modo preciso e mirato.
Sembrerebbe che per la maggior parte delle informazioni i server cinesi operino avvalendosi dell’intelligenza artificiale ma da alcuni dettagli emergerebbe come ci si sia avvalsi anche dell’intervento di persone. Per ogni persona schedata è stato creato un codice e una serie di connessioni e interessi ad essa correlati. Il database italiano è diviso in tre sezioni distinte: «Nella prima categoria sono elencate le “persone politicamente esposte”, come parlamentari, leader di partito, membri di varie istituzioni, fino ai consiglieri regionali e sindaci. Ci sono poi persone che lavorano nei settori industriali strategici e poi vescovi e prelati. Si tratta di circa 800 nomi, dalla prima in ordine alfabetico, l’ex ministro Adriana Poli Bortone, all’ex segretario Pd Walter Veltroni […]. La seconda categoria è definita dall’analisi de Il Foglio “tra le più anomale”. Ci sono 1.012 nomi più strettamente legati agli obiettivi di interesse della Cina. In questa lista c’è l’intera famiglia Berlusconi, quella di Renzi, degli imprenditori Merloni e Ferrero. Una mappa che comprende non solo i famigliari, ma anche i partner dei leader di partiti politici, fratelli imprenditori di parlamentari, parenti di ex ambasciatori che sono diventati manager di società pubbliche. Nell’ultima sezione ci sono 2.732 nomi con condannati e indagati, per lo più esponenti della criminalità organizzata. A ognuno è associata una parola chiave per definirne il profilo, come frode, droga, estorsione, traffico di esseri umani. […] Nell’elenco ad esempio c’è il narcotrafficante calabrese Giovanni Palamara, legato ai cartelli della droga colombiani, connesso al boss della ‘Ndrangheta Rocco Morabito» [1].
Nonostante ancora ci siano moltissime zone d’ombra sulla vicenda e non sia ancora provabile se ci sia o meno un legame diretto tra l’archivio privato e il governo cinese, è anche vero che spesso i servizi segreti di Pechino si sono avvalsi di enti privati per raccogliere informazioni, ipotesi ventilata anche dal network australiano Abc che parla di un’affiliazione tra la Zhenhua e il colosso pubblico China Electronics che si occupa delle telecomunicazioni militari, ma dalle pagine di «La Repubblica» si fa sapere che «sulle pagine del sito della società […] non c’è traccia del legame» [2].
Il Ministro della Difesa Guerini sulla vicenda si è detto spaventato non tanto per l’acquisizione dei dati che, è bene ricordarlo, provengono da fonti open source, quanto piuttosto dalla targetizzazione e dalla profilazione degli stessi.
Proprio sulle pagine de «Il Foglio» dopo aver precisato che il Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) è già a lavoro sulla vicenda, ha così dichiarato: «Pur trattandosi di un’azienda privata serve chiarezza nei rapporti. Al momento non è possibile esprimere giudizi definitivi, ma seguirò l’evolversi di questa vicenda con grande attenzione. Posso solo ribadire la mia posizione: siamo un paese con una forte vocazione all’export, che quindi deve avere rapporti con tutti i paesi. Ma la sicurezza nazionale viene prima di ogni altra valutazione economica o tecnologica che sia» [3].
A prescindere, dunque, dai molti elementi di ambiguità sui quali non è prudente azzardare ipotesi senza prove, ciò che emerge con chiarezza è invece il fatto che, mentre l’Europa, più in generale l’Occidente, si concentrava ciecamente solo su se stesso e sui propri interessi contingenti, si è lasciato campo libero a una Cina che guarda ben oltre i suoi confini, impegnata da decenni nella costruzione di una sempre crescente influenza su scala mondiale.
L’Italia e l’Europa hanno una normativa sulla privacy che in questo caso viene apertamente violata e si impone dunque anche una più ampia riflessione sul mercato dei dati e su quale sia il rapporto, nei paesi non democratici, tra aziende private ed enti pubblici.
Senza fare allarmismi o voler chiamare in causa racconti di orwelliana memoria, quel che va comunque sottolineato è l’evidente problema nella gestione dei dati personali che, oltre a costituire un problema di privacy, si rivela anche un fattore di sempre maggiore importanza nella messa in atto di strategie di condizionamento dell’opinione pubblica di paesi terzi.
Sono aspetti che non vanno sottovalutati e che anzi necessitano della giusta attenzione poiché nella formazione di nuovi assetti geopolitici laddove si apre un varco, per negligenza o anche semplicemente per ingenuità politica, ci sarà sempre qualcuno disposto a varcarlo.
Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi