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Premuda: un’impresa storica unica

Quando, nel 1939, la Marina Militare italiana ha dovuto decidere in quale giorno celebrare la propria Giornata, non ci sono stati dubbi: il 10 giugno, giorno dell’impresa di Premuda del 1918, compiuta dal Capitano di Corvetta Luigi Rizzo. Ad oggi, ancora detentore del record di marinaio più decorato d’Italia.

Durante i primi mesi del 1918, le sorti dell’Italia nella Prima guerra mondiale, sembravano incerte. Gli austriaci avevano appena chiamato in aiuto i tedeschi e le truppe italiane, dopo la sconfitta di Caporetto erano provate, fiaccate, soprattutto nello spirito.

La Marina austro-ungarica aveva appena nominato come nuovo comandante della Flotta Imperiale il giovane e audace Ammiraglio Miklós Horthy. Una nomina che faceva presagire un cambio nell’atteggiamento della Marina Imperiale, ormai da tempo asserragliata nelle sue munitissime basi. L’Ammiraglio Tahon de Revel, intuendo un cambio di passo da parte degli austriaci, aveva predisposto la nostra flotta con un dispaccio, con il quale ordinava ai comandi della Marina di essere pronti a cogliere eventuali iniziative nemiche dalle quali trarre vantaggio. Era stato chiaro «si approfitterà di ogni mossa nemica per attaccare coi sommergibili, cacciatorpediniere, torpediniere e m.a.s.» [1]. Proprio questi ultimi, i m.a.s. (Motoscafo Armato Silurante) erano una invenzione italiana, molto innovativa per l’epoca: motoscafi di circa 16 metri dal poco pescaggio, veloci, piccoli, fragili, ma ben armati, in grado di arrecare danni gravissimi se impiegati con coraggio e perizia.

Luigi Rizzo, capitano di Corvetta, già decorato con la Medaglia d’Oro al valore per aver affondato nel 1917 la corazzata austriaca Wien, riceve l’ordine di uscire in mare da Ancona con i m.a.s. 15 e 21 la sera del 9 giugno 1918. La missione: esplorazione e ricerca mine. Quella notte, però, la flotta imperiale (composta da ben 45 unità) esce dal porto di Pola, direzione Otranto, per cogliere di sorpresa la flotta italiana e rompere il blocco navale italiano che impedisce il passaggio del Canale verso il Mediterraneo.

I m.a.s. 15 e 21 la notte successiva, il 10 giugno, giungono al largo dell’isola di Premuda, davanti alla costa dalmata. Alle 3 di notte, avvistano «una grande nuvola di fumo nero all’orizzonte». Il capitano Rizzo valuta trattarsi di cacciatorpediniere asburgici. Senza indugio ordina di avvicinarsi per l’identificazione ottica e, nel caso, attaccare sperando nella sorpresa.

I due MAS dirigono verso il nemico. Una leggera foschia favorisce le loro manovre, anche perché la flotta austro-ungarica si crede al sicuro nella solitudine di quelle acque. Nonostante l’evidente sproporzione delle forze in campo, la formazione nemica comprende infatti ben due Corazzate e non i soli cacciatorpediniere immaginati, Rizzo decide di attaccare comunque. Punta alla Santo Stefano, passando tra le torpediniere di scorta, cogliendole di sorpresa. Conduce l’attacco con grande audacia e abilità di manovra. Rischia il tutto per tutto, lancia i suoi siluri a distanza molto, forse troppo ravvicinata per sopravvivere alla reazione nemica, ma per la corazzata Santo Stefanon non c’è scampo. “Il primo ordigno centrò la nave tra la prima e la seconda ciminiera, il secondo a poppa”, così scriverà neil suo rapporto fra l’altro Rizzo. La nave comincia a imbarcare grandi quantità d’acqua e a bruciare nella zona caldaie. In breve, la grande nave si inclina e si rovescia. Il m.a.s. 15 di Rizzo viene inseguito da un cacciatorpediniere, ma essendo troppo vicino, non può centrare il mas perché il cannone non riesce ad andare così in depressione. Rizzo ha un guizzo, lancia delle bombe di profondità, regolate alla quota minima e le fa esplodere sotto la prora dell’inseguitore. L’austriaco è costretto a desistere e il MAS riesce a mettersi in sicurezza. Nel frattempo, anche l’altro MAS al comando del Guardiamarina Aonzo attacca l’altra corazzata, ma i suoi siluri non riescono a colpire il bersaglio. I due MAS rientrano verso Ancona con nelle scie di poppa l’immagine della Santo Stefano (Szent Istvan) che affonda, con gli equipaggi delle altre navi austriache che eseguono commossi il saluto alla voce levando alti i berretti.

Visti rientrare i MAS 15 e 21, scarichi di siluri, ma carichi di gloria” comunicava via telegrafo il “semaforista” del Faro della Marina al Comando superiore, alla vista dei due MAS in rientro, privi di armi e con le Bandiere tricolori di prima grandezza al vento, simbolo di incontro vittorioso con il nemico.

L’impresa di Premuda fu fondamentale per rinfrancare gli animi italiani. Finalmente dopo il disastro di Caporetto una vittoria luminosa, la cui importanza non sfuggì infatti all’alleato Britannico. «La Grand Fleet porge le più sentite congratulazioni alla flotta italiana per la splendida impresa condotta con tanto valore e tanta audacia contro il nemico austriaco» recitava il telegramma inglese [2].

L’Ammiraglio Luigi Rizzo, affondatore di due corazzate nemiche in due battaglie diverse, è un caso unico nella storia delle Marine da Guerra. E’ un’icona della Marina Italiana a cui tutti i nostri marinai e non solo, dovrebbero guardare con giustificato orgoglio e grande riconoscenza.

Viva la Marina. Viva l’Italia.

Ammiraglio (a) Giuseppe De Giorgi

 

[1] Premuda, 10 giugno 1918, primissime luci dell'alba, il perchè della giornata della Marina, Giosué Allegrini, marina.difesa.it

[2] L'Impresa di Premuda, il capolavoro di Luigi Rizzo e della Marina Italiana, Alessandro Maiocchi, IlGiornale.it

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